Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
(da “Vuoto d’amore”)
Alda Merini
Amai teneramente dei dolcissimi amanti
senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
e fui preda della mia stessa materia.
In me l’anima c’era della meretrice
della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.
Molti diedero al mio modo di vivere un nome
e fui soltanto una isterica.
(da “La gazza ladra”)
Il gobbo
Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
… e nessuno m’aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d’allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle.
(22 dicembre 1948 – da”Poetesse del Novecento” 1951)
La Terra Santa
Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso tra la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso le messe,
le messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita nei cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
(da “La Terra Santa” 1984)
Bambino
Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.
A Flavia e Gianfranco nel giorno delle loro nozze.
Vi sian dolci le nozze come un colle
da risalir beato e tu, fanciulla
che hai tratto dai miei visceri il tuo nome
vivi contenta poi che il tuo ragazzo
simile a Apollo, ha tutta la dolcezza
degli Dei si’ divini e sì leggiadri:
sii tu stessa la musa del suo canto
sii tu l’ape leggera che riporta
miele alla bocca del tuo dolce amato
sii tu fanciulla simile alla Grecia
sii la sposa dei cantici che esulta,
davanti al re nel giorno dei sponsali
ma tu sei bionda e sei la mia figliola
perciò cingi di gigli le tue chiome
ed aspetta paziente che maturi
il dolce grano che hai tu dentro il seno
che’ progenie perfetta salirà
da quei tuoi dolci sguardi di mollezza
e divino tu abbia ogni altro aspetto
ed esulta poiché sei stata eletta
alla corte di un re, tu che sei sposa
di Salomone giovane e leggiadro.
(poesia inedita del marzo 1981, pubblicata su: “L’eco del Chisone” il 14 giugno 2017)
Canto alla luna
La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buioa ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.
Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d’amore.
(da “Vuoto d’amore” Einaudi 1991)
No, non tornare
No, non tornare, avrei crudo sgomento
e mi toglieresti a questi dolci sogni
o forse troveresti che disfatta
è la mia carne e la mia croce viva,
non tornare a vedermi, sono in pace
con le sfere assolute dell’amore
e mi giaccio scoperta e solitaria
come una rosa sfatta nel sereno.
(da “Destinati a morire” 1980)
Corpo, ludibrio grigio
Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?
(da “La Terra Santa” 1984)
opera della nipote Elisa Bagatti
Un’armonia mi suona nelle vene
Un’armonia mi suona nelle vene,
allora simile a Dafne
mi trasmuto in un albero alto,
Apollo, perché tu non mi fermi.
Ma sono una Dafne
accecata dal fumo della follia,
non ho foglie né fiori;
eppure mentre mi trasmigro
nasce profonda la luce
e nella solitudine arborea
volgo una triade di Dei.
(da “La Terra Santa” 1996)
Ieri ho sofferto il dolore
Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l’immobilità mi fa terrore?
(da “La terra santa”)
Lettere a Silvana Rovelli
Rivedo le tue lettere d’amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore…
L’illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il “sempre” degli amanti,
certi nei nostri spiriti d’Iddii…
… E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un’altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore…
… E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
(gennaio 1949 – da “La presenza di Orfeo”)
Apro la sigaretta
Apro la sigaretta
come fosse una foglia di tabacco
e aspiro avidamente
l’assenza della tua vita.
È così bello sentirti fuori,
desideroso di vedermi
e non mai ascoltato.
Sono crudele, lo so,
ma il gergo dei poeti è questo:
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio.
(da “Ballate non pagate” 1° ed. Einaudi 1995)
Il liuto
Dalle mani magnifiche del cuore
sei percorso nobile strumento
che stai dentro le labbra del signore.
E il tocco è bianco
come di una corda che vibra
e come la mia rima
che dovrebbe essere una parola
e invece è un pensiero
una canzone.
(da”Aforismi e magie”)
Del tutto ignari della nostra esistenza
Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c’è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra siepe.
Voi entrate nell’uragano dell’universo
come coloro che si gettano nell’inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.
(da “La carne degli angeli“)
La vergine
Non avete veduto le farfalle
con che leggera grazia
sfiorano le corolle in primavera?
Con pari leggerezza
limpido aleggia sulle cose tutte
lo sguardo della vergine sorella.
Non avete veduto quand’è notte
le vergognose stelle
avanzare la luce e ritirarla?…
Così, timidamente, la parola
varca la soglia
del suo labbro al silenzio costumato.
Non ha forma la veste ch’essa porta,
la luce che ne filtra
ne disperde i contorni. Il suo bel volto
non si sa ove cominci, il suo sorriso
ha la potenza di un abbraccio immenso.
(15 novembre 1947 – da La presenza di Orfeo – 1953)
Se avess’io
Se avess’io levità di una fanciulla
invece di codesto, torturato,
pesantissimo cuore e conoscessi
la purezza delle acque come fossi
entro raccolta in miti-sacrifici,
spoglierei questa insipida memoria
per immergermi in te, fatto mio uomo.
Io ti debbo i racconti più fruttuosi
della mia terra che non dà mai spiga
e ti debbo parole come l’ape
deve miele al suo fiore. Perchè t’amo
caro, da sempre, prima dell’inferno
prima del paradiso, prima ancora
che io fossi buttata nell’argilla
del mio pavido corpo. Amore mio
quanto pesante è adducerti il mio
carro che io guido nel giorno dell’arsura
alle tue mille bocche di ristoro!
(da “Tu sei Pietro”)
C’è una faccia maligna
C’è una faccia maligna
dietro una sedia della mia anima,
una faccia che ride di chiunque.
Idioti e allocchi
che corrono sempre dietro
alle inutili glorie del mondo
che non immaginano affatto
quanto costi
in dolore la poesia.
La poesia è un castello di solitudine
con qualche rarissima finestra
di rotte allegrie.
(da “Terra d’Amore” poesie, racconti, aforismi. Ed. Acquaviva)
In cima ad un violino
In cima ad un violino
ci sta forse un respiro
che nessuno raccoglie
perché è un senso d’amore.
Tu suoni per il vento e viaggi
dove la pace sussurra tra le piante
tutta una nostalgia.
(da “Clinica dell’abbandono” – Einaudi 2004)
Ah se almeno potessi
Ah se almeno potessi,
suscitare l’amore
come pendio sicuro al mio destino!
E adagiare il respiro
fitto dentro le foglie
e ritogliere il senso alla natura!
O se solo potessi
corpo astrale del nostro viver solo
pur rimanendo pietra, inizio, sponda
tangibile agli dei
e violare i più chiusi paradisi
solo con la sostanza dell’affetto.
(da “La terra santa”)
Quando l’angoscia
Quando l’angoscia spande il suo colore
dentro l’anima buia
come una pennellata di vendetta,
sento il germoglio dell’antica fame
farsi timido e grigio
e morire la luce del domani.
E contro me le cose inanimate
che ho creato dapprima
vengono a rimorire dentro il seno
della mia intelligenza
avide del mio asilo e dei miei frutti,
richiedenti ricchezza ad un mendìco.
( 1954 da “Nozze romane” 1955)
Desiderio d’amore
Lei desiderava un sorriso
una musica muta
una riva di mare
per bagnarsi
il suo amore impossibile.
I suoi piedi nudi e piagati,
i suoi meschini capelli.
Lei ignorava che il ricordo
è un ferro piantato alla porta,
non sapeva nulla
della perfezione del passato,
del massacro delle notti solitarie
non sapeva che il più grande
desiderio
è un niente
che s’inventa stranissime cose,
e vola come un’idea
verso l’enciclopedia
del Paradiso.
Sogna
su un altare di piombo
e frusta strampalati pupazzi
che non portano mai allegria.
(da “Io dormo sola”, Acquaviva, 2005)
Io sono una città nera.
Io sono una città nera
e una rondine notturna.
Qualche ragazzo mi sorride
e allora divento volpe canterina.
Un mare di pesci
mi nuota sempre intorno,
sono i falsi poeti
che vogliono toccare il genio
con la piuma contorta
di un’insana voracità
ma la curiosità è un grillo schiacciato
che fa finta di essere un’anima.
(da “Il Re delle Vacanze” favole, poesie, aforismi. Ed. Acquaviva)
Lasciando adesso che le vene crescano
Lasciando adesso che le vene crescano
in intrichi di rami melodiosi
inneggianti al destino che trascelse
te fra gli eletti a cingermi di luce…
In libertà di spazio ogni volume
di tensione repressa si modella
nel fervore del moto e mi dissanguo
di canto “vero” adesso che trascino
la mia squallida spoglia dentro l’orgia
dell’abbandono. O, senza tregua più,
dannata d’universo, o la perfetta
nudità della vita,
o implacabili ardori riplasmanti
la già morta materia: in te mi accolgo
risospinta dagli echi all’infinito.
( da “La presenza di Orfeo” – 4 ottobre 1950)
I versi sono polvere chiusa
I versi sono polvere chiusa
di un mio tormento d’amore,
ma fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.
(da “La Terra Santa”)
Spazio
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.
(da “Vuoto d’amore”)
Ho buttato il mio verbo come Iddio
Ho buttato il mio verbo come Iddio
(l’amore fa di questi prepotenti
e nuovissimi doni) ed ho creato
proprio col soffio identico iniziale
con cui Dio ha fatto l’uomo.
Solo che l’uomo che da me ho gettato
non è guasto di terra ma portato
da un suo nuovo magnifico splendore.
Come sei tu, mio vero, vigoroso
tanto che mi attanagli nella pelle
con fortissime unghie e mi rilasci
a misurare dopo nel silenzio
tutta la mia disfatta di poeta.
(da “Tu sei Pietro. Anno 1961”)
Non ti dispiaccia.
Non ti dispiaccia che parli il tuo nome;
non ti dispiaccia che io porti pietra
e che con essa tutta mi ragioni,
io sono nell’inferno e ora faretra
reggo d’amore ed ora sinfonia;
fa’ che io per te nel canto non m’arretra
ma colpirmi di sì dolce armonia
che al sol si sciolga questa triste pietra
che alla morte mi porta e mi ci avvia.
(da “Le rime petrose”)
Potresti anche telefonarmi
Potresti anche telefonarmi
e dirmi in un soffio di vita
che hai bisogno del mio racconto:
favole di una bimba che legge i sospiri,
favole di una donna che vuole amare,
una donna che cerca un prete
per avere l’estrema unzione.
(da “La volpe e il sipario” – 1997)
La mia poesia è alacre come il fuoco
La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnananna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce
(da “La volpe e il sipario” – 1997)
Tu te ne sei andata
Tu te ne sei andata
hai lasciato dietro di te
il chiaro profumo dell’ombra,
o fiore di questo mio corpo
o specie martoriata di figlia,
tu te ne sei andata
uno spazio di vento
che ha indurito il mio cuore.
(da “Destinati a Morire. Poesie vecchie e nuove”)
Ieri sera nel basso dentro la gioconda osteria
Ieri sera nel basso dentro la gioconda osteria
un uomo trangugiava il suo vino
con una voluttà bacchica e assente,
io guardavo la sua gola turgida
di vino e dimenticanza
e mi chiesi come mai mi tenessi in cuore una spina
senza chiedere aiuto a Bacco.
(da “Le satire della Ripa”)
Lavandaie
Lavandaie avvizzite
sul corpo del Naviglio
con un cilicio stretto
stretto intorno alla vita,
lavandaie violente
come le vostre carni,
donne di grande fede
sopravvissute al lutto
della bomba di Hiroshima…
Lavandaie corrotte
dall’odore del vino,
ossequiose e prudenti
fortissime nell’amore
che sbattete indumenti
come sbattete il cuore.
(da “La Terra Santa e altre poesie”)
Il testamento
Se mai io scomparissi
presa da morte snella,
costruite per me
il più completo canto della pace!
Ché, nel mondo, non seppi
ritrovarmi con lei, serena, un giorno.
Io non fui originata
ma balzai prepotente
dalle trame del buio
per allacciarmi ad ogni confusione.
Se mai io scomparissi
non lasciatemi sola;
blanditemi come folle!
(3 novembre 1953 da “Paura di Dio” – 1955)
Non voglio dimenticarti, amore
Non voglio dimenticarti, amore,
né accendere altre poesie:
ecco, lucciola arguta, dal risguardo dolce,
la poesia ti domanda
e bastava una inutile carezza
a capovolgere il mondo.
La strega segreta che ci ha guardato
ha carpito la nudità del terrore,
quella che prende tutti gli amanti
raccolti dentro un’ascia di ricordi.
(da “Titano amori intorno” 1993)
Ad Ettore
Ho avuto paura della morte
paura dei tuoi paradisi
tu eri la mia ape
poggiavi sopra di me
con la tua benevolenza
e suggevi del fiore delle mie rime
tutto il mite coraggio.
Tu mi eri fratello
ed eri anche poeta…
Ma perderti così
per banale allegria
per la morte irridente
o compagno di sogni
che cosa avrei io fatto!
Non son donna da piangere le stele
né i silenzi dei cimiteri
io sono donna di amore
e tu lo sai bene
che cosa avrei fatto io?
Ti avrei rincorso nei sogni
lo so, e poi, lentamente
sarei scivolata nel sonno
nel sonno della follia
e lì, amandoti sempre,
io sarei morta di amore.
(da “Destinati a Morire. Poesie vecchie e nuove”)
Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi.
Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi,
non dovrebbe passare giorno
senza aggiungere qualcosa
al nostro staio di grano,
da stranieri benevoli e confusi,
ma oggi io non ho dato nulla
perchè ospitavo la morte,
la sua sostanza grigia mi ha investito:
una pietra che dava lacrime,
allora ho tremato a lungo
al pensiero di non scrivere più
e poi ho tremato ancora
quando ho cominciato a scrivere.
(da “La Terra Santa e altre poesie”)
Amore che giaci
Amore che giaci
dentro un’ampolla di vetro
per le ricerche nobili
di chi ha scoperto
il verde delle stagioni,
con gli arabeschi dei prati
abbiamo intesssuto la veste
e giubilando del nulla,
attoniti dentro la fede,
abbiamo gustato il vino
dell’incantevole inganno.
(da “Ballate non pagate”)
Charles Charlot Charcot
Charles Charlot Charcot,
rimembranza dolce,
vieni tu dall’Andalusia,
vieni tu dal miraggio segreto
del florilegio dei sensi?
Charles, Charcot,
tu che hai nel duro cappello
le melodie del gioco,
sei giocoliere o amante?
(da “Poesie per Charles” 1982)
Genesi a Pietro De Pascale
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t’amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo,
e fiorita son tutta e d’ogni velo
vò scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall’amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dàmmi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d’ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.
(da “Tu sei Pietro” 1961)
Il grembiule
Mia madre invece aveva un vecchio grembiule
per la festa e il lavoro,
a lui si consolava vivendo.
In quel grembiule noi trovammo ristoro
fu dato agli straccivendoli
dopo la morte, ma un barbone
riconoscendone la maternità
ne fece un molle cuscino
per le sue esequie vive.
(da “La gazza ladra”)
Il pastrano
Un certo pastrano abitò lungo tempo in casa
era un pastrano di lana buona
un pettinato leggero
un pastrano di molte fatture
vissuto e rivoltato mille volte
era il disegno del nostro babbo
la sua sagoma ora assorta ed ora felice.
Appeso a un cappio o al portabiti
assumeva un’aria sconfitta:
traverso quell’antico pastrano
ho conosciuto i segreti di mio padre
vivendolo cosi, nell’ombra.
(da “La gazza ladra”)
PAX
Leva morte da noi
quell’intatto minuto come pane
che l’amante non morse né la donna
al colmo dell’offerta.
Dove vita, di sé fatta più piena
ci divide dal corpo
e ci annovera al gregge di un Pastore
costruito di luce,
nasce morte per te. D’ogni dolore
parto ultimo è solo
che mai possa procedere dal seno…
Eppure a noi lontano desiderio
di quell’attimo pieno
viene a fatica dentro giorni oscuri
ma se calasse nella perfezione
di sua vera natura
presto cadremmo affranti dalla luce.
L’albero non è albero né il fiore
può decidersi bello
quando sia forte l’anima di male;
ma nel giorno di morte
quando l’amante, tenebroso duce
abbandona le redini del sangue,
sì, più dura vicenda
si spiegherà entro un ordine di regno.
Ed il senso verrà ricostruito,
ed ogni cosa nel letto
in cui cadde nel tempo avrà respiro,
un respiro perfetto.
Ora solo un impuro desiderio
può rimuovere tutto, ma domani
quando morte si s’innalzi…
(21 aprile 1954 – da “Paura di Dio”)
Luce
Chi ti scriverà, luce divina
che procedi immutata ed immutabile
dal mio sguardo redento?
Io no: perché l’essenza del possesso
di te è “segreto” eterno e inafferrabile;
io no perché col solo nominarti
ti nego e ti smarrisco;
tu, strana verità che mi richiami
il vagheggiato tono del mio essere.
Beata somiglianza,
beatissimo insistere sul giuoco
semplice e affascinante e misterioso
d’essere in due e diverse eppure
tanto somiglianti; ma in questo
è la chiave incredibile e fatale
del nostro “poter essere” e la mente
che ti raggiunge ove si domandasse
perché non ti rapisce all’Universo
per innalzare meglio il proprio corpo,
immantinente ti dissolverebbe.
Si ripete per me l’antica fiaba
d’Amore e Psiche in questo possederci
in modo tanto tenebrosamente
luminoso, ma, Dea,
non si sa mai che io levi nella notte
della mia vita la lanterna vile
per misurarti coi presentimenti
emananti dei fiori e da ogni grazia.
(22 dicembre 1949 – da “La Presenza di Orfeo”)
Io ero un uccello
Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,
qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra,
non so.
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni d’amore.
(da “La Terra Santa” 1984)
La Sibilla Cumana
Ho veduto virgulti
spegnersi a un sommo d’intima dolcezza
quasi per ridondanza di messaggi
e disciogliersi labbra
a lungo stemperate nella voce,
nell’urlo, quasi, della propria vita;
vuota di sé ho scrutata la pupilla,
impoverito il trepido magnete
che attirava in delirio le figure.
Così, sopra una forma già distesa
nel certo abbraccio dell’intuizione,
crolla la lenta pausa finale
che intossica di morte l’avventura.
(14 novembre 1951 – da ”Nozze romane” 1955)
La bambina
Invecchiando mi diedi al vino
ma non avevo colpa
di preferire il vino a un uomo
che mi tradiva con la cugina.
Lei era polposa e fresca
e forse gli avrebbe portato in dote un figlio,
il figlio che eroicamente io non avevo
così annegai la mia sete nell’acquavite
e morii presto sotto un’acacia immensa
mentre prendevo l’ultimo sole d’inverno.
(da “Superba è la notte”)
Anima, solamente la parola
Anima, solamente la parola
tace e si affranca il sentimento
il segreto che turpe mi appassiona
sulla scoperta che non feci mai
del cadavere vecchio di una donna
che aveva mille mani, dissepolta
dalla calunnia, quell’andare stordito
sopra i barconi della vedovanza.
Ricordami il pensiero della vita
tu che ti sei calato nelle pietre
credendole il mio fango musicale.
(da “Superba è la notte”)
O maledici, Dio, che mi ha tradito
O maledici, Dio, che mi ha tradito,
quella che beve la mia stessa acqua,
quella che beve il mio dialogo dolce,
quella che è pura e senza sentimento.
Maledicila in te come non figlia,
come perla strappata dal suo guscio,
allontana da me questa cancrena,
tumida forse solo dell’amore,
dal greto asciutto per le libagioni.
(da “Ballate non pagate”)
Tu eri la verità, il mio confine
Tu eri la verità, il mio confine,
la mia debole rete,
ma mi sono schiantata
contro l’albero del bene e del male,
ho mangiato anch’io la mela
della tua onnipresenza
e ne sono riuscita
vuota di ogni sapienza,
perché tu eri la mia dottrina,
e il calice della tua vita
sfiorava tutte le rose.
Ora ti sei confusa
con gli oscuri argomenti della lira
ma invano soffochi la tua voce
nelle radici-spirali degli alberi,
invano getti gemiti
da sotto la terra,
perché io verrò a cercarti
scaverò il tuo fermento,
madre, cercherò negli spiriti
quello più chiaro e più fermo,
colui che aveva i tuoi occhi
e la tua limpida voce
e il tuo dolce coraggio
fatto soltanto di stelle.
(da “La Terra Santa 1983” – “Il Suono dell’Ombra 2010”)
Quando il cielo baciò la terra nacque Maria
Quando il cielo baciò la terra nacque Maria.
Che vuol dire la semplice,
la buona, la colma di grazia.
Maria è il respiro dell’anima,
è l’ultimo soffio dell’uomo.
Maria discende in noi,
è come l’acqua che si diffonde
in tutte le membra e le anima,
e da carne inerte che siamo noi
diventiamo viva potenza
(da “Magnificat. Un incontro con Maria”)
Lirica antica
Caro, dammi parole di fiducia
per te, mio uomo, l’unico che amassi
in lunghi anni di stupido terrore,
fa che le mani m’escano dal buio
incantesimo amaro che non frutta…
Sono gioielli, vedi, le mie mani,
sono un linguaggio per l’amore vivo
ma una fosca catena le ha ben chiuse
ben legate ad un ceppo. Amore mio
ho sognato di te come si sogna
della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e non posso ospitarti. Io vorrei
che tu gustassi i pascoli che in dono
ho sortiti da Dio, ma la paura
mi trattiene nemica; oso parole,
solamente parole e se tu ascolti
fiducioso il mio canto, veramente
so che ti esalterai delle mie pene.
(da “Tu sei Pietro” 1961)
Il canto dello sposo
Forse tu hai dentro il tuo corpo
un seme di grande ragione,
ma le tue labbra gaudenti
che sanno di tanta ironia
hanno morso più baci
di quanto ne voglia il Signore,
come si morde una mela
al colmo della pienezza.
E le tue mani roventi
nude, di maschio deciso
hanno dato più abbracci
di quante ne valga una messe,
eppure il mio cuore ti canta,
o sposo novello
eppure in me è la sorpresa
di averti accanto a morire
dopo che un fiume di vita
ti ha spinto all’argine pieno.
(da “Per Michele Pierri”)
E perciò non ti chiamerò al telefono
E perciò non ti chiamerò al telefono
né avrò bisogno delle tue vene che pulsano
il dolore prosciuga tutto
il dolore è un anello sponsale
ti sposa nella dolcezza
e nella verecondia feroce,
io oggi mi sono sposata al dolore,
mi sono divisa da te.
da (Le satire della Ripa” 1983)
Ascolta il passo breve delle cose
Ascolta il passo breve delle cose
-assai più breve delle tue finestre-
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
È fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c’è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.
(da “La volpe e il sipario” 1997)
A Dino Campana
Ritorna, che cantar canzone di voto
Dentro l’acqua del Naviglio io voglio
Perché tu sia riesumato dal vento.
Ritorna a splendere selvaggio
E giusto ed equo come una campana,
riscuoti questa mente innamorata
del suo dolore, seme della gioia,
mia apertura di vento e mio devoto
ragazzo
che amasti la maestra poesia.
(da “Ballate non pagate” 1995)
E più facile ancora
E più facile ancora mi sarebbe
scendere a te per le più buie scale,
quelle del desiderio che mi assalta
come lupo infecondo nella notte.
So che tu coglieresti dei miei frutti
con le mani sapienti del perdono…
E so anche che mi ami di un amore
casto, infinito, regno di tristezza…
Ma io il pianto per te l’ho levigato
giorno per giorno come luce piena
e lo rimando tacita ai miei occhi
che, se ti guardo, vivono di stelle.
(da “Tu sei Pietro” 1961)
Getto noccioli di cartone
Getto noccioli di cartone,
suono per militi di cartapesta,
ora sono tutta funesta
e ho dato mille canzoni.
(da Ballate non pagate, 1995)
Noi, pastori
Rapida come un fulmine
scende la gioia del Divin
Bambino.
Scende a rallegrare le stelle
e noi erranti pastori
sulla Terra.
Di nuovo scende, nonostante
così come insiste
sulla fronte
di un bimbo malato –
il mondo –
la carezza di una madre.
Non abbiamo nulla nelle mani
se non la nostra ostentata ricchezza
l’idea falsa di libertà.
È la notte di Natale.
È la notte della povertà.
Un albero disadorno,
un antico presepe
attendono da secoli
il nostro sguardo.
O piccolo Gesù
ridacci quell’innocenza,
quello spirito caritatevole
che nessun’altra ragione,
nessun altro albero ricolmo
sanno offrire
a noi sperduti viandanti.
Meraviglioso testo di Alda (in gran parte inedito) del 2005,
riportato sull’Eco di Bergamo il 21 dicembre 2019.
(Regalo del giornalista e grande amico di Alda, Silvio Bordoni).
Amore irripetibile
Sull’ultima corda del tuo violino
avevo già appeso il mio amore
pieno di robe vecchie.
Però in cima aveva una stella alpina ti giuro
ho valicato mille montagne
le stelle alpine Dio le pianta così in alto.
Ma è così bello il rischio
è come suonare su una corda sola
senza neanche una cassa armonica
esce il trillo del diavolo
che sarà anche triste
però è un sogno d’amore irripetibile
un virtuosismo che non muore mai mai
che non muore mai.
Poesia inedita musicata ed interpretata dal Maestro Giovanni Nuti tratta dal cd “Una piccola ape furibonda”.